Trasfusione infetta, trevigiano risarcito di 127 mila euro

Una trasfusione infetta che gli ha cambiato la vita.
Protagonista un trevigiano che nel 2004 entra in un ospedale trevigiano per un problema alle piastrine; gli vengono somministrate delle immunoglobuline ed esce dal nosocomio con l’epatite C.
La malattia viene scoperta dal medico di base al quale lo sfortunato paziente si rivolge per un dolore al fianco destro.
Dopo una serie di accertamenti clinici scopre che il fegato è compromesso.
La diagnosi è infausta: trombocitopeina idiopatica ed epatite C, malattia che prima di entrare in ospedale non aveva.
Per il trevigiano inizia il calvario dentro e fuori gli ospedali. E poi la triste consapevolezza che una malattia di questo genere non solo è difficile da curare ma riduce drasticamente anche l’aspettativa di vita.
Passato lo sconforto iniziale si rivolge ad un legale, l’avvocato Fabio Capraro di Treviso.
Inizia qui il secondo calvario, quello legato alla trafila giudiziaria.
Nel 2013 dopo aver fatto causa al Ministero della Sanità il trevigiano ottiene dal giudice la prima sentenza che condanna il Ministero a rimborsarlo di 60 mila euro.
Cifra che, nonostante la sentenza esecutiva, non arriva perché il Ministero nel 2015 ricorre in appello. Dopo due anni la corte d’Appello di Venezia rigetta l’istanza del Ministero.
Il 14 aprile scorso, a distanza di quasi 18 anni dal momento della trasfusione infetta che ha causato la malattia cronica, la Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado pronunciata dal tribunale di Treviso nel 2015 e impone, quindi, al Ministero della Sanità italiano di risarcire l’uomo di 127.206,68 euro, al rimborso delle spese ma soprattutto ad un indennizzo mensile di 817 euro.
“Casi di questo genere non dovrebbero mai accadere- ribadisce l’Avvocato Fabio Capraro che ha seguito la causa decennale- La salute è un diritto per tutti e quando capita l’errore è triste vedere che il Ministero della Sanità, che dovrebbe essere il primo a tutelare la salute dei cittadini, si trincera dietro a carte bollate per non pagare quanto invece spetta di diritto ad una persona per curarsi. La cifra di 127.206,68 che è stata elargita in questi giorni dal ministero è stata raddoppiata rispetto alla sentenza del 2015 proprio a causa della lungaggine giudiziaria. E’ stato dunque un percorso lungo ma è stata fatta giustizia!” Conclude Fabio Capraro.