Intrigo internazionale/Azienda pordenonese che produce droni militari finita in mani cinesi: sei denunciati


Assume i contorni della spy story internazionale, l’inchiesta portata a termine dalla Guardia di Finanza di Pordenone su un’azienda che produce droni, legata per le sue forniture al Ministero della Difesa italiano e illecitamente finita in mano a società controllate dal governo cinese.
L’inchiesta ha portato alla denuncia di 3 italiani e altrettanti cinesi, in pratica, il management dell’azienda coinvolta e di altre che servivano per lo più a nascondere i reali proprietari della società.
Il tutto, nel delicatissimo settore della Difesa nazionale.
Tanto che il Sostituto Procuratore Carmelo Barbaro contesta ai 6 reati connessi alla Legge n. 185/1990 che disciplina la
movimentazione di materiali di armamento.
I primi accertamenti avevano riguardato un’aviosuperficie che fa parte del Demanio militare, in parte occupata, senza autorizzazioni, da un aeroclub privato (formalmente una ONLUS operante in inesistenti attività di Protezione Civile) e da una società industriale operante nella fabbricazione di aeromobili e veicoli spaziali, nonché nella progettazione e produzione di sistemi U.A.V. “Unmanned Aerial Vehicle” di tipo militare.
Sistem oggetto di forniture legate a contratti sottoscritti con il Ministero della Difesa e in partnership, per attività di ricerca e sviluppo tecnologico, con una importante azienda a partecipazione pubblica.
Per questo la società pordenonese risulta iscritta nell’apposito registro nazionale delle imprese operanti nel settore dei materiali di armamento, gestito dal Ministero della Difesa e strettamente vigilato.
Nel 2018 però, l’azienda oggi al centro dell’indagine era stata acquistata, per il 75% del capitale sociale, da una società estera con sede a Hong Kong, pagata 90 volte il suo valore nominale, ovvero 3.995.000 euro contro 45.000 euro.
La società che aveva acquistato le quote era stata costituita ad hoc poco prima dell’operazione e priva di risorse finanziarie, nonostante l’operazione abbia alla fine comportato un esborso di oltre 5 milioni di euro.
Scavando, la Guardia di Finanza pordenonese ha scoperto anche che dietro la società di Hong Kong e dietro al dedalo di società fittizie che la contornavano ci sono due importanti società di proprietà governativa della Repubblica Popolare Cinese.
Che l’intera operazione dovesse passare inosservata è dimostrato anche dal fatto che, nonostante gli obblighi di legge per i fornitori della Difesa, il nuovo socio non fu reso pubblico per due anni, ovvero fino a che il Ministero non si accorse c he qualcosa non quadrava.
A quel punto, tra l’altro, la società ormai più cinese che italiana aveva firmato accordi e contratti con altre importanti realtà dello stesso settore.
In altre parole, l’acquisto del 75% della società italiana non aveva scopi speculativi e/o di investimento, ma esclusivamente di acquisizione del suo Know-how tecnologico e produttivo, anche militare.
Una volta ottenuto ciò, la società doveva finire in Cina, nel polo tecnologico di Wuxi, città-laboratorio
dell’intelligenza artificiale cinese situata a meno di 150 chilometri da Shanghai.

La gestione di queste operazioni non è nemmeno avvenuta attraverso delibere degli organi amministrativi e/o in altri atti societari, come previsto dalla legge, ma solo attraverso riservati agreement, con “divieti di divulgazione”, peraltro sottoscritti dalle controparti ben prima della compravendita, a riprova che l’acquisto della società era diretta conseguenza dell’acquisizione della tecnologia e non del contrario.
I droni militari sono finiti in Cina anche attraverso operazioni taroccate: con la scusa della Fiera Internazionale dell’Import di Shangai del 2019, ad esempio, presero la via dell’oriente macchine che non potevano uscire dall’Italia e che furono classificate ufficialmente come aeroplani radiocomandati: giocattoli, insomma.