
58enne finisce in Terapia Intensiva per Covid: salvo, denuncia il medico di base
E’ finita sul tavolo del Pm, l’odissea da Covid denunciata da un 58enne di Vigonza all’epoca dei fatti residente nella veneziana Pianiga.
L’uomo ha presentato querela, assistito da Studio3A, l’8 marzo 2021, ai carabinieri di Pionca di Vigonza, lamentando omissioni e ritardi nelle cure ed il Pubblico Ministero della Procura di Padova, dott.ssa Silvia Golin, ha nei giorni scorsi deciso di aprire un procedimento penale.
L’ipotesi di reato è lesioni personali colpose in ambito sanitario, con l’iscrizione nel registro degli indagati del medico di base del 58enne, C. B., 64 anni, con studio a Pianiga, nel territorio di competenza dell’Asl 3 Serenissima.
La vicenda era iniziata il 7 dicembre 2020, quando il 58enne apprese che un amico con il quale era stato in contatto la settimana precedente era risultato positivo al Coronavirus e i suoi timori di essere rimasto contagiato si concretizzarono presto con la febbre a 38.
Chiamò il suo dottore semplicemente per farsi prescrivere il tampone: cinque telefonate che però non sortirono alcuna risposta.
Alla fine sua moglie passò dalla guardia medica di Peraga a ritirare la ricetta per poter sottoporsi al test molecolare, effettuato nella stessa serata all’ospedale di Camposampiero.
Dopo un paio di giorni, il 9 dicembre, l’uomo, comprensibilmente in ansia, contattò di nuovo il medico curante, a cui l’Asl da prassi comunicò l’esito del test, per conoscere il suo destino, ma anche stavolta alle nove telefonate effettuate, lasciando pure messaggi in segreteria, il dottore non ha mai risposto: solo l’ultima, alle 18.45, è stata riscontrata, ma dalla segretaria personale del dottore, che lo trattò, ricorda, pure male (“non siamo tenuti a comunicare il risultato” gli avrebbe detto).
Alla fine, dopo lunghe insistenze, gli fu riferito che il tampone era risultato positivo.
Finalmente, siamo al pomeriggio del 10 dicembre – dopo altre due telefonate senza risposta al mattino – il suo medico di base lo chiamò, perfino rimproverandolo per la discussione avuta con la sua segretaria, gli comunicò che il 17 dicembre si sarebbe potuto sottoporre a un nuovo tampone all’ospedale di Dolo e gli ordinaò la cura: due antibiotici, del cortisone e iniezioni di Eparina.
I sintomi, però, si aggravarono.
L’11 dicembre il paziente telefonò di nuovo al suo medico che per una volta gli rispose, assicurandogli che avrebbe inviato una mail all’Usca, Unità Speciale per la Continuità Assistenziale, per una visita a domicilio.
Il 58enne attese l’11, il 12 e il 13 dicembre, ma non arrivò nessuno e intanto la sua febbre era schizzata a 39,5 – 40.
Essendo domenica, sua moglie ricontattò la guardia medica chiedendo il da farsi, per sentirsi rispondere di assumere Tachipirina “a manetta”.
L’indomani, lunedì 14, non essendo scesa la febbre, il 58enne richiamò lo studio del medico di famiglia 17 volte, riuscendo a parlare solo una volta con la “solita” segretaria: il dottore era impegnato.
Questi lo chiamò infine nel pomeriggio, ma solo per assicurargli che avrebbe ricontattato l’Usca, che però nemmeno l’indomani si sarebbe vista.
A quel punto, era il pomeriggio del 15 dicembre, alla moglie non rimase che chiamare direttamente il 118: il marito finì al Pronto Soccorso dell’ospedale di Camposampiero con la diagnosi “paziente Covid positivo da dieci giorni” rimanendovi oltre un giorno per poi essere trasferito d’urgenza al monoblocco dell’ospedale di Padova e quindi nella Terapia Intensiva del Sant’Antonio, dove rimase ricoverato per una settimana.
E qui iniziò un’altra battaglia, quella per la vita, perché il virus fu sul punto di avere la meglio, la saturazione dell’ossigeno era crollata al 20%.
Per fortuna, il suo fisico reagì e i medici lo salvarono per il rotto della cuffia: il 5 gennaio 2021 fu infine dimesso.
Fisicamente distrutto e psicologicamente provato – un’esperienza di cui ancora oggi porta dentro i segni – il giorno seguente, il 6 gennaio 2021, alle 10.22, il 58enne ricevette una chiamata del tutto inaspettata: l’Usca di Noale gli comunicava che alle 11.15 sarebbero stati a casa sua per la visita domiciliare.
La richiesta via mail del suo medico di base – sempre sia mai arrivata – è stata dunque evasa in 25 giorni.
Peccato che nel frattempo fosse già tutto finito.
Troppo per resistere alla tentazione di denunciare tutto e di andare fino in fondo per accertare se in ciò che ha dovuto subire si profilino omissioni e violazioni deontologiche.
Perciò il sopravvissuto si è rivolto a Studio3A-Valore S.p.A. che ha subito fatto richiesta di acquisire tutta la documentazione clinica del paziente per vagliare il caso.
E’ stata quindi presentata denuncia-querela all’autorità giudiziaria chiedendo di fare piena luce sui fatti con particolare riferimento alla condotta ritenuta “inadeguata” del dott. C. B. e sulle sue responsabilità per non aver ottemperato all’esecuzione delle raccomandazioni delle linee guida e delle buone pratiche cliniche assistenziali, ponendo a grave rischio la salute del paziente che, a causa dei ritardi, è finito in terapia intensiva all’ospedale e ha riportato pesanti postumi.
Una denuncia che la Procura di Padova ha dunque ritenuto degna di riscontro con l’apertura di un procedimento penale in capo al medico di famiglia da cui il paziente e Studio3A si aspettano che sia fatta chiarezza e giustizia.